Resilienza: assecondare il cambiamento

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Spesso il mondo dell’infanzia è fonte per me di ispirazione per riflettere su tematiche collegate alle risorse, spesso perdute, dimenticate o forse poco praticate dal mondo adulto, e di cui vado alla ricerca nel mio lavoro di terapeuta con i miei pazienti.

E questa volta, un film di animazione della Disney, Planes 2, mi ha rifocalizzato su un tema tanto caro in questo periodo di grandi scossoni, perdita di certezze e punti di riferimento che è la diffusione di questa pandemia da Coronavirus. Il tema della resilienza.

Ma cosa si intende per resilienza? Proviamo a spiegarlo seguendo brevemente le vicende di Dusty, il protagonista del citato film animato.

Dopo essere diventato un campione di gare ad alta quota, l’ex aeroplanino agricolo Dusty deve fare i conti con gli ingranaggi che lo compongono, che danno segni di cedimento. L’unica soluzione affinché non si rompa definitivamente la sua trasmissione è quella di smettere di gareggiare, ed infrangere così i suoi sogni di gloria. Dusty, in questo momento di crisi, trova il modo di reinventarsi. Si addestra per diventare un aereo antincendio. Accettando di confrontarsi con la realtà, senza opporsi agli eventi, asseconderà il cambiamento ed imparerà comunque qualcosa di positivo per sé: abbandonerà il ruolo da vincente e capirà che il gioco di squadra potrà dargli altrettanta soddisfazione della affermazione individuale.

Potremmo proprio ben dire che Dusty, dinanzi ad un grande cambiamento traumatico intercorso nella sua vita, è stato resiliente. E ciò gli ha permesso di non soccombere, ma di superare l’evento avverso, di cambiare, possiamo dire, rotta, in modo positivo e andare avanti.

La resilienza

Il termine resilienza è arrivato nel mondo della psicologia ereditandolo dalla meccanica dei materiali, ed in particolare modo dallo studio dei cambiamenti di stato nei metalli. Si sa infatti che i metalli sottoposti a stress cambiano la loro forma.

La resilienza è quindi la capacità di adattamento che un corpo sa agire su se stesso per accomodarsi alla situazione di tensione (Lucangeli).

In questo senso è l’opposto della resistenza: questa si oppone, infatti, al cambiamento e dunque porta alla rottura. Un corpo, sottoposto ad una forte sollecitazione può spezzarsi se esercita resistenza alla tensione.

Dal punto di vista psicologico quando tentiamo di allontanare, non sentire, negare qualcosa che ci fa male, per esempio, stiamo resistendo. E questo processo è facilmente visibile in alcune reazioni delle persone in questo difficile momento storico che stiamo vivendo. Negare la nostra vulnerabilità è segno di resistenza. Resistendo si rischia di andare oltre la propria soglia e, se anche non rischiamo di romperci come Dusty, sicuramente opponendoci a quel che accade, rifiutando di sentire le naturali emozioni connesse alla situazione vissuta ne ricaveremmo frustrazione, impotenza, senso di fallimento. E per di più quel che è negato, tornerà. 

La resilienza è “una sfumatura interiore molto sofisticata. Va ricercata e va imparata”. (Lucangeli).

Per essere resilienti occorre imparare ad “accompagnare le trasformazioni adattando il nostro profondo a quello che accade”. 

Si può imparare ad essere resilienti?

Per prima cosa occorre tenere ben presente che essere resilienti non significa assolutamente essere “immuni” al dolore, all’angoscia e alle preoccupazioni, anzi. Il dolore emotivo deve essere accettato e compreso. Questa, credo, sia la chiave principe per educarci alla resilienza. Assumere la capacità intanto di riconoscere e accogliere le emozioni connesse agli eventi avversi, senza negarle (così faremmo resistenza), per poi imparare a direzionarle in modo costruttivo piuttosto che impulsivo.