“Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sè” di Alice Miller

La psicoanalista Alice Miller ci racconta come si ottiene un “bravo bambino” a discapito della formazione di una personalità libera ed autentica.

Una delle tesi di fondo di questo saggio è la seguente. Ogni bambino normalmente dotato, e quindi pronto e sensibile, ha la capacità di cogliere le aspettative e i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi. Più sono pressanti e inconsapevoli tali richieste degli adulti e più il bambino, per la vitale necessità di sentirsi amato e accettato, tenderà a questo adattamento, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, la gelosia, l’indignazione, l’invidia, la paura) che risultano inaccettabili ai grandi. In questo consiste “il dramma”: così facendo, il bambino non riesce a integrare nella sua personalità la parte più vitale del suo vero Sé, quella che comprende tutte le proprie autentiche emozioni, sia piacevoli che meno, e tutti quegli autentici modi di esistere, che non siano connessi al soddisfacimento delle aspettative altrui o all’adeguamento di se stesso ad una immagine Ideale di sè. Nascono da qui insicurezza affettiva e una sorta di impoverimento psichico, che poi sfociano nella depressione o si celano dietro una facciata di grandiosità.

Secondo Alice Miller, andrebbe ribaltato il luogo comune per cui i figli considerati l’orgoglio dei loro genitori avrebbero, da adulti, una salda consapevolezza del loro valore e una chance in più per realizzarsi. Al contrario, secondo l’autrice, spesso da grandi essi rivelano una scarsa autostima, soffrono di sensi di colpa o depressione e vengono colti con frequenza dal timore di aver tradito l’immagine ideale che di se stessi si erano costruiti o, meglio, mamma e papà avevano finito col fabbricare per quei loro figli così ubbidienti e in gamba.
Riassunto in parole povere: gli ex bravi ragazzi non necessariamente diverranno uomini (o donne) felici e realizzati. Anzi. Come per qualsiasi cosa che riguarda le persone, e la loro interiorità, nulla è possibile dirsi come un’equazione matematica “se..allora..”. I figli orgoglio dei propri genitori possono essere e diventare adulti felici e realizzati, se a loro è stata data data la possibilità di veder riconosciuto il valore, l’importanza ed il permesso di manifestare qualsiasi emozione, atteggiamento, attitudine, senza dover reprimere nulla della propria spontaneità per “far contenti mamma e papà”.

L’adattamento ai bisogni e alle aspettative dei genitori, conduce spesso allo sviluppo della personalità “come se”, una personalità detta del “falso Sè“. L’individuo si limiterà ad apparire come ci si aspetta che debba essere ed il prezzo che dovrà pagare sarà un grande senso di vuoto, di assurdo, di inutilità, di distacco da sè stesso. Il bambino che non ha potuto costruirsi una propria sicurezza, dipenderà prima dai genitori ed in seguito, crescendo, avrà bisogno della continua conferma delle persone che rappresentano i “genitori”, come il partner, il gruppo, i figli.
Il bambino che, invece, è l’orgoglio dei suoi genitori, sia per i suoi pregi che per i suoi difetti, che è accettato interamente per tutto ciò che è, a cui è data a pieno la possibilità di esprimere se stesso, di esplorare se stesso ed il mondo, senza vivere inconsciamente il senso di colpa per la delusione di qualcuno, può far cresce il proprio “vero sè“. Chi sperimenta il “vero sè” può dirsi, per esempio:

“Mi è concesso di essere triste o allegro, a seconda che ci sia qualcosa che mi rattristi o mi rallegri, ma non devo mostrare a tutti i costi una faccia allegra, nè devo reprimere la mia pena, la mia paura, o altri sentimenti in relazione ai bisogni degli altri e a ciò che gli altri si aspettano da me”.

Può sembrare un’umiliazione scoprire di non essere soltanto buoni, comprensivi, generosi, controllati e privi di esigenze quando la nostra autostima si basa su questo. Ma se vogliamo stare meglio e ritrovare il nostro vero Sè, dobbiamo abbandonare questo edificio di autoinganni, guardare nel nostro passato ed acquisire maggiore consapevolezza di chi siamo e darci il permesso di esserlo.